lunedì 16 febbraio 2015

Contratti bancari, quali i diritti del cliente?

Alzi la mano chi avendo dinanzi a se un contratto di conto corrente, in quella frazione di secondo a disposizione per la lettura delle clausole, mentre lo sportellista barra con una crocetta tutte le caselle da sottoscrivere separatamente, non si sia chiesto quale fosse il reale significato di quanto enunciato in quegli articoli scritti con un carattere illeggibile e in un tenore sicuramente non immediatamente comprensibile?Ogni correntista, sia esso privato o esercente un’attività d’impresa, dovrebbe essere conscio dei propri diritti, ma purtroppo nella maggior parte dei casi così non è e ciò per una serie di ragioni.Il primo motivo potrebbe essere ricollegato alla disciplina del diritto bancario, se in principio infatti, la materia trovava la sua disciplina del codice del 1942, poi  l’integrazione dell’Italia nella Comunità Europea  ha prodotto una serie di provvedimenti contenenti la normativa della materia (Testo Unico Bancario, circolari di Banca di Italia e CICR, legge n. 108/1996 recante disposizioni in materia di usura ed infine, le numerosissime sentenze della giurisprudenza) ed allora ecco che chi voglia conoscere i propri diritti incontra come primo scoglio quello della reperibilità delle fonti.  
Immagine presa da Panorama.it


A ciò s’aggiunga che anche quando la documentazione bancaria risulti completa ed esaustiva, per un soggetto poco esperto, la quantità, la complessità delle informazioni fornite ed il linguaggio tecnico, non consentono al cliente di poter comprendere il senso dei suoi contenuti.Partiamo allora dall’inizio ossia dal momento in cui si decide di sottoscrivere un contratto bancario (sia esso un contratto di conto corrente, un’apertura di credito o un mutuo).Il contratto deve essere stipulato in forma scritta, deve essere sottoscritto e una copia recante tutte le condizioni contrattuali deve essere consegnata al cliente prima della sottoscrizione in modo che lo stesso sia in grado di valutarne con la dovuta calma il contenuto.Le norme sulla trasparenza bancaria, art. 116 TUB, impongono, inoltre che la banca renda nota ai propri clienti, i tassi di interesse, i prezzi e le altre condizioni economiche e soprattutto il TEGM (tasso effettivo globale medio) previsto dalla  legge antiusura. Le informazioni di cui sopra devono essere rese in modo chiaro ed esauriente, deve essere indicato l’ISC (ossia indicatore sintetico di costo) ed il cliente deve ricevere il documento di sintesi completo.Tutte le clausole che contengono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli di quelli pubblicizzati sono nulle.L’art. 1284 c.c. stabilisce che gli interessi superiori alla misura legali devono essere determinati sempre per iscritto, altrimenti sono dovuti nella misura legale. Più precisamente l’art. 117 comma 7 del TUB, nel caso di tassi ultralegali, stabilisce che debba essere applicato il tasso nominale minimo e quello massimo, rispettivamente per le operazioni attive e quelle passive, dei buoni ordinari del Tesoro annuali o di altri titoli similari indicati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto o se più favorevoli per il cliente, dei dodici mesi antecedenti l’operazione. Ovviamente il cliente ha diritto alla restituzione di quanto versato in eccesso alla banca.L’istituto bancario ha il dovere di inviare al proprio cliente delle comunicazioni periodiche che in modo chiaro espongano al cliente la propria situazione bancaria e di solito ciò avviene attraverso l’invio di estratti conto.Qualora il cliente ne abbia bisogno, ai sensi dell’art. 119 TUB, può richiedere la documentazione bancaria e/o un duplicato della stessa all’istituto di credito, il quale ha l’obbligo di trasmettere quanto richiesto entro 90 giorni, addebitando solo il costo effettivo per la produzione documentale.Infine, con riferimento alle modifiche unilaterali effettuate dalla banca relative ai tassi di interesse, prezzi e le altre condizioni, si ricorda che mentre con riferimento ai contratti di mutuo non possono essere modificati i tassi d’interesse, per le altre tipologie di contratto, tale modifica è possibile solo se prevista nel contratto originario, con un preavviso minimo di 2 mesi, purché sia inviata una comunicazione per iscritto al Cliente recante la dicitura ‘Proposta di modifica unilaterale del contratto’ e fatto salvo, in ogni caso, il diritto di recesso del Cliente (art. 118 TUB).

giovedì 13 novembre 2014

Condomini morosi, ma chi paga le spese?

Il recupero dei crediti nei confronti dei condomini morosi è uno dei problemi più diffusi e più delicati e chiunque viva in un immobile situato all’interno di un condominio lo sa bene.
La questione è divenuta, negli ultimi anni, ancora più spinosa posto che, a causa della crisi economica, i condomini morosi sono aumentati e con essi, purtroppo, anche i costi per depositare un ricorso per decreto ingiuntivo e i tempi della giustizia.

Si pensi, ad esempio, all’aumento del contributo unificato e alla marca da bollo, costi vivi necessari per depositare il ricorso, nonché ai tempi di un giudizio ordinario in caso di opposizione a decreto ingiuntivo. In situazioni di morosità, dunque, si rende necessario anticipare tutto quanto dovuto dal condominio moroso e ciò al fine di evitare che le utenze e i servizi (luce, acqua, etc) vengano sospesi. In sostanza, il condomino adempiente si trova ad anticipare due generi di spese: quelle relative alle utenze e ai servizi che avrebbe dovuto corrispondere il condomino inadempiente  e quelle legali per il recupero del credito.



Proprio con riferimento a tale ultimo aspetto, ci si chiede quale sia il criterio di ripartizione delle spese legali. Al riguardo l’art. 1123 c.c. detta il criterio da seguire, ossia la ripartizione in base ai millesimi di proprietà (salvo la presenza di un convenzione sottoscritta da tutti i condomini). In sostanza, il criterio applicato dal legislatore è quello di gravare meno su chi possiede meno.
Va, tuttavia, precisato che normalmente, il Giudice condanna al pagamento oltre che del capitale e degli interessi, anche dei costi vivi e delle spese di giudizio, di conseguenza, chi ha anticipato le spese legali dovrebbe in un secondo momento recuperare dall’inadempiente tutte le somme corrisposte.

Quanto sopra vale anche per il nuovo acquirente dell’immobile che risponde anche per le pregresse spese condominiali ossia quelle relative all’esercizio antecedente all’acquisto e a quello in corso e ciò in considerazione del fatto che al successore a titolo particolare sono trasferiti oltre che i diritti derivanti dal contratto, anche tutti gli oneri, sia perché l'ob­bligo di pagamento delle spese in questione grava su ciascun condomino, ai sensi degli artt. 1104 e 1123 e seguenti c.c., per il solo fatto di avere in atto una quota di proprietà ed anzi, in ipotesi di alienazione di tale quota, si estende, in solido con il dante causa, alle spese dovute da quest'ultimo e non ancora da lui versate al momento dell'aliena­zione.

Va rilevato da ultimo che per il recupero del credito, esiste, comunque, la garanzia dell’immobile che può essere aggredito con un pignoramento immobiliare e ciò anche nel caso in cui lo stesso sia gravato da un fondo patrimoniale.

lunedì 10 novembre 2014

I rischi legati alle compravendite di immobili pervenuti per donazione o per successione testamentaria

In materia di successioni, la  legge definisce il coniuge, i figli legittimi e naturali e gli ascendenti legittimi, quali eredi legittimari ossia gli eredi che hanno diritto ad una parte determinata del patrimonio del defunto  definita  ‘quota di legittima’.
Al momento del decesso di un soggetto, dunque, si rende necessario ricostruire i beni facenti parte del suo patrimonio, così da ricostruire la c.d. ‘massa ereditaria’ e poter, successivamente, determinare la quota di spettanza di ciascun erede. Per compiere detta operazione,  si riuniscono, anche fittiziamente, i beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione.
La collazione dei mobili si fa soltanto per imputazione, sulla base del valore che essi avevano al tempo dell'aperta successione.
Se si tratta di cose delle quali non si può far uso senza consumarle, e il donatario le ha già consumate, si determina il valore che avrebbero avuto secondo il prezzo corrente al tempo dell'aperta successione.


Se si tratta di cose che con l'uso si deteriorano, il loro valore al tempo della aperta successione è stabilito con riguardo allo stato in cui si trovano.
Va rilevato che è proprio con riferimento alle donazioni che si pongono i maggiori problemi di carattere ereditario. Capita spesso che la madre o il padre donino in vita ad uno dei propri figli un immobile senza essere consapevoli delle conseguenze giuridiche che ne possono derivare.  Infatti, con dette donazioni si vanno ad intaccare i diritti dei legittimari poiché la quota di spettanza di ciascuno di essi, a seguito della donazione, risulta essere appunto ridotta.
Il nostro ordinamento giuridico, in tale ultima ipotesi, prevede alcune forme di tutela. Più specificatamente, i legittimari sono tutelati dagli artt. 553 c.c e successivi, i quali prevedono due tipi di azioni: 
- l’azione di riduzione che è una azione tesa a far dichiarare l’inefficacia delle disposizioni testamentarie e delle donazioni che hanno leso i diritti alla quota legittima del legittimario;
- l’azione di restituzione che consente, ove il legittimario leso sia vittorioso nell’azione di riduzione, che lo stesso possa chiedere la restituzione dei beni oggetto della disposizione lesiva della sua quota.

Proprio per evitare successive impugnazioni, va rilevato che sovente, nella tecnica redazionale degli atti di donazione è prevista durante la stipula, l’intervento dei futuri legittimari (non donatari) per raccogliere la loro rinuncia irrevocabile al diritto di opposizione ex art. 563, comma 4, c.c.. Ciò che tuttavia, raramente, risulta essere chiaro è che questa rinuncia non mette al riparo i futuri acquirenti dalle azioni dei legittimari lesi poiché la rinuncia al diritto di opposizione non consente in nessun caso una rinuncia all’azione di riduzione e/o restituzione e ogni pattuizione.


In sostanza, quanto sopra, significa che se un soggetto che è divenuto proprietario di un immobile per effetto di donazione o di testamento, vende il bene in questione, è  possibile che l'acquirente dell’immobile si veda successivamente costretto a restituirlo ad un legittimario pregiudicato, dalla donazione o dal testamento, nel suo diritto alla legittima. Infatti, qualora non siano decorsi 20 anni dalla trascrizione della donazione, il legittimario vittorioso nell’azione di riduzione – rimasto insoddisfatto – potrà agire per ottenere la restituzione dell’immobile nei confronti del terzo acquirente. Il terzo acquirente, in tale ultima ipotesi si troverebbe costretto a restituire l’immobile oppure a pagare l’equivalente in denaro (ex art. 563, comma 3, c.c.) ossia a corrispondere una somma di denaro necessaria a reintegrare la quota di legittima del legittimario leso, salvo la possibilità di agire in regresso nei confronti del suo dante causa (il legittimario-donatario).


Detta circostanza, inoltre, assume rilievo anche nel caso in cui un soggetto terzo acquirente di un immobile proveniente da donazione, dopo aver sottoscritto un contratto preliminare, si rechi successivamente presso un istituto bancario al fine di richiedere un finanziamento necessario per l’acquisto dell’immobile oggetto del preliminare. In detta ultima ipotesi, infatti, proprio per le ragioni sopra indicate, l’istituto di credito potrebbe rifiutarsi di concedere il prestito.

lunedì 3 novembre 2014

Sentenza Cassazione: nessun pignoramento su prima casa da Equitalia

La Corte di Cassazione, con la sentenza 19270/2014 depositata in cancelleria lo scorso 12 settembre, stabilisce che Equitalia non potrà più pignorare la prima casa con valore retroattivo. A prescindere dalla data di entrata in vigore del provvedimento, non ci potrà essere alcun pignoramento, neppure per quanto riguarda i casi precedenti.

Nel dettaglio, la sentenza della Corte di Cassazione afferma che "dal momento che la norma disciplina il processo esecutivo esattoriale immobiliare, e non introduce un’ipotesi di impignorabilità sopravvenuta del suo oggetto, la mancanza di una disposizione transitoria comporta che debba essere applicato il principio per il quale, nel caso di successione di leggi processuali nel tempo, la nuova norma disciplina non solo i processi iniziati successivamente alla sua entrata in vigore, ma anche i singoli atti di processi iniziati prima".
Il  D.L. 69/2013 ( il cosiddetto Decreto del Fare), entrato in vigore il 22 giugno 2014, aveva introdotto il divieto di procedere al pignoramento immobiliare da parte di Equitalia solo se l’immobile è: l’unico di proprietà del debitore, è adibito ad abitazione principale, è abitato dal debitore con la sua famiglia e, infine, non è considerato un immobile di pregio o di lusso ( categorie catastali A/8 e A/9), ma non aveva valore retroattivo.


Con la sentenza 19270/2014 la Cassazione ha esteso, quindi, la protezione sulla prima casa a tutti i procedimenti esecutivi in corso e antecedenti all’introduzione della norma.

Per richiedere informazioni o consulenze: www.studiolegalepuce.it

lunedì 27 ottobre 2014

Conto cointestato pignorato: Equitalia evade il limite del 50%

Fonte: http://www.laleggepertutti.it/


Succede di tutto quando la legge lascia “buchi” privi di regolamentazione (cosiddette “lacune normative”). E la cosa peggiore è che, spesso, ad approfittarne sono proprio le amministrazioni o, comunque, gli enti che dovrebbero rappresentare la legalità. Tra questi, purtroppo, Equitalia. Non è, infatti, per caso, che questo portale si è più volte schierato dalla parte del cittadino, spiegando come approntare le proprie (legittime) difese.

In particolare, i problemi principali si pongono quando la procedura di pignoramento tocca il conto corrente. Lo abbiamo constatato, amaramente, in passato quando ci siamo accorti che Equitalia ha, di fatto, superato il limite del tetto pignorabile del “quinto” dello stipendio (leggi: “Abolito di fatto il limite del quinto pignorabile”), situazione alla quale abbiamo già fornito una soluzione di difesa (leggi: “Pignoramento Equitalia: recuperare i 4/5 del conto corrente bloccato”).

Ma la casistica delle illiceità non finisce qua e – complice l’esperienza di vita vissuta all’interno dello studio legale – ci siamo accorti che Equitalia riesce a eludere un altro divieto posto dalla normativa sui pignoramenti, quello del tetto massimo del 50% in caso di conti correnti cointestati. In pratica, l’Agente per la riscossione, con un artificio piuttosto lungo (ma non complesso), arriva a pignorare ben più della metà del conto bancario, sebbene questo appartenga anche ad altre persone che con Equitalia non hanno nulla a che fare.


Vediamo come.

Cosa dice la legge?
Quando c’è da pignorare un conto corrente, Equitalia ricorre a una procedura speciale, di tipo “stragiudiziale”, [1] che le consente, cioè, di evitare il procedimento davanti al tribunale (giudice dell’esecuzione). In particolare, l’Agente per la riscossione, con un ordine impartito alla banca o alla Posta, si fa pagare direttamente le somme depositate sul conto, senza passare da un’udienza.

Quando però il conto corrente è cointestato, tale procedura non è più possibile. Difatti, se il conto appartiene a due soggetti, di cui uno solo è il debitore, è possibile pignorare soltanto il 50% (presumendosi che l’altra metà appartenga al cointestatario non debitore). Proprio per tale ragione, e per evitare abusi, la legge prescrive che, nei casi in cui il conto sia intestato anche a soggetti diversi dal debitore, Equitalia non possa procedere con l’ordine diretto alla banca o alla posta, ma debba passare – come vuole la regola generale per tutti i privati – da un’udienza e davanti a un giudice. A quest’ultimo, infatti, compete di assegnare le somme fino a massimo il 50%.

Se a seguito di tale assegnazione, il credito di Equitalia risulta integralmente soddisfatto, tutto finisce qui. Ma se, invece, Equitalia non ha riesce a ottenere la somma integrale per la quale agiva, rimanendo quindi creditrice, potrà procedere nuovamente contro il debitore. Attenzione però: potrà attivare altri tipi di pignoramento, ma giammai, di nuovo,il pignoramento in banca. E ciò perché – sebbene non lo dica espressamente la legge – si finirebbe per andare a pignorare più del 50% del deposito.

Un esempio chiarirà meglio la questione.

Mettiamo che “A” sia debitore di Equitalia per 5.000 euro. “A” ha un conto corrente cointestato con “B” presso la banca. Equitalia procede a pignorare il conto corrente per la misura del proprio credito (euro 5.000). Il giudice assegna ad Equitalia la somma di 2.500 euro, ossia la metà di 5.000 euro, e ciò perché l’altra metà del conto appartiene a “B”, il quale non è debitore di Equitalia.
A questo punto Equitalia rimane insoddisfatta per 2.500 euro ed è libera di intraprendere nuovi pignoramenti contro “A”. Ma, invece, di procedere per esempio con un pignoramento dei beni mobili o immobili, finisce per pignorare nuovamente il conto corrente. E di nuovo, si andrà dal giudice che, a fronte di un credito residuo di 2.500 euro vantato da Equitalia, le assegna il 50%: ossia 1.250 euro.
In questo modo, sommando i due pignoramenti, Equitalia è riuscita ad ottenere ben più del 50% del conto: il 75% (2.500 euro con il primo pignoramento e 1.250 con il secondo pignoramento).

È chiaro che un comportamento di questo tipo, seppur formalmente corretto, nella sostanza è illegittimo, in quanto mira ad aggirare un divieto legale. Inoltre, ripetendo all’infinito tale escamotage, si finisce per pignorare il 100% del conto corrente, anche quindi quel 50% che appartiene al cointestatario.

Come ci si difende?
Si potrà fare opposizione all’esecuzione, costituendosi con il proprio avvocato e facendo presente al giudice che il conto corrente è stato già oggetto di un primo pignoramento e che, pertanto, non può essere più toccato.

Ma che succede se, tra il primo e il secondo pignoramento, sono state accreditate altre somme?


La nostra interpretazione è di ritenere pignorabili solo le ultime somme depositate, e comunque pur sempre nei limiti del 50%. Anche in questo caso, procedendo per come sopra descritto, bisognerà effettuare una opposizione all’esecuzione e, con gli estratti conto alle mani, dimostrare al giudice che, fermo restando il residuo 50% non pignorabile perché appartenente al cointestatario, è possibile prelevare solo il 50% delle nuove somme depositate.

Richiedi informazioni o consulenza su questo argomento: www.studiolegalepuce.it